Memories. A seguito della serie di incontri sul tema della creativita' e fruizione dell'arte in ambito nazionale, ma anche con uno sguardo alla realta' territoriale locale, portati avanti durante gli ultimi mesi, il gruppo artistico torinese Collettivo Ubique ha realizzato come riflessione visiva un breve video.
Il progetto e' una mappatura visiva del passato dell'arte, di tanti spazi usati come gallerie d'arte nella citta' di Torino che ora hanno cessato la loro attivita'.
Il video suggerisce molti interrogativi sul duro lavoro dei galleristi e del loro operare, di tutto questo impegno profuso per dare vita all'arte, nel suo momento piu' importante, in cui uscita dal laboratorio dell'artista diventa parte reale nella societa'.
Cosa resta di tutta questa attivita', di questo esporsi, di tutta questa umanita' che si e' incontrata? Il video sara' proiettato per tre serate, partecipando anche all'iniziativa della Giornata del Contemporaneo il 9 Ottobre, sulla vetrina del centro interdisciplinare Bi-loft.
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Intervista al Collettivo Ubique su http://www.contemporarytorinopiemonte.it/ita/Focus-on/Le-Memories-del-Collettivo-Ubique
Il Centro interdisciplinare Bi loft, in via XXSettembre 2M, ospita dall'8 al 10 ottobre dalle 19 alle 22 “Memories”, il nuovo lavoro del Collettivo torinese Ubique. Ne parla Franco Ariaudo che insieme agli altri due artisti che fanno parte del gruppo, Eliana Deborah Langiu e Domenico Olivero, lo ha realizzato:
Di cosa si tratta?
E' una sorta di censimento video a nostra memoria, “Memories” appunto, dei portoni e delle serrande dei luoghi che a Torino hanno ospitato spazi espositivi e che adesso non ci sono più. Il sottofondo è un missaggio audio dei rumori di veri vernissage.
Perché filmare luoghi che non ci sono più?
Il video suggerisce molti interrogativi sul duro lavoro dei galleristi, dell'impegno profuso per dare vita all’arte e si chiede che cosa resta di tutta questa attività, di questo esporsi, di questa umanità che si è incontrata.
Qual è la filosofia del vostro gruppo di lavoro?
L'idea è quello di partire da eventi dell'arte dell'immediato passato, di riproporli rivisitati e vedere che sensazioni sono ancora in grado si suscitare. Nel nostro primo lavoro “La vide-le plein” del 2008, abbiamo voluto ricongiungere, circa 50 anni dopo, il Vuoto di Klein e il Pieno di Arman. Durante il vernissage i visitatori entravano uno alla volta in una stanza vuota mentre nei mesi successivi chiunque poteva portare un oggetto “emotivamente importante” per creare il Pieno.
E dopo cosa avete fatto?
Il secondo progetto è stato ispirato dai lavori di Bruce Nauman che tra il 1967 e 1968 aveva realizzato un happening dove il visitatore entrando in una stanza interagiva con due palline fatte rimbalzare sulle pareti. Nel nostro caso le palline in terra erano un centinaio e il loro suono si sentiva solo se il visitatore stava fermo. L'estate scorsa a Nuoro, utilizzando tecniche proprie del restauro, abbiamo ricavato uno “stacco” non di un affresco ma di un graffito metropolitano. Il graffito era su un palazzo del centro storico e, visto che il piano regolatore del comune non prevede la conservazione degli edifici, doveva essere abbattuto. Abbiamo voluto trattare un atto vandalico come se fosse un affresco affinché rimanesse perlomeno la “pelle” del passato.
Perché avete fondato un collettivo di artisti?
Insieme possiamo esplorare territori che nel nostro lavoro sarebbero complicati. Abbiamo voluto creare un luogo di sperimentazione che fosse anche una valvola di sfogo per fare dei lavori svincolati dalle dinamiche del mercato. Lo rappresenta bene il nostro logo (un omino seduto su una sedia a dondolo ndr): lo abbiamo trovato in un catalogo dell’Olivetti che raccoglie i simboli della cartellonistica stradale degli anni 70 e indica un “luogo tranquillo”.
Intervista a cura di Sabrina Roglio